Ruben consiglia di leggere ascoltando: Cindy Lee, Glitz.
La cosa più forte del mondo e io
Di Ruben Marciano
Occhei allora io sono stato fino a poco tempo fa un barista a un hotel per gente crepata di soldi. Mi vedete, sono secco secco e alto un metro e settanta con le scarpe, e lavoravo per un manager che era alto due metri e rotti, e in questa storia qua le altezze contano, non è che ve le dico così. Fatto sta che la nostra clientela di persone ricche e vecchie di solito non crea problemi, quindi non c’era una vera e propria sicurezza, anche perché se proprio c’erano problemi bastava chiamare il manager che lui arrivava e voglio dire, è alto due metri e rotti, tu ti metti a fare problemi con quello che ti piglia la testa e te la spiaccica con la mano così, come a un Pan di Stelle. Io no.
Una notte, mezzanotte poco più, sto tutto solo al bar dell’hotel a vedere una partita di basket americano quando entra questo tizio, un cinquantenne che se il manager era immenso lui era direttamente Gesù Cristo quello di Rio. Avrei voluto dirgli Staremmo per chiudere ma non l’ho fatto poi. E che volevi fare? Dirgli di no a quello?
Lo scaricatore di porto Gesù di Rio ordina una rossa media e uno shot di tequila liscia. Non è manco un ospite dell’albergo. Era venuto a buffo, e noi non siamo il De Russie ma manco il bar sotto casa tua, che prendi arrivi e fai come ti pare. E oh. Comunque il gigante sembra gentile, almeno da sobrio, quindi, nonostante dovessi chiudere e non avevo chiuso, inizio a parlarci e viene fuori che ha lavorato al porto per trent’anni. Poi, scusate se mi ripeto, ma ve lo devo dire un’altra volta, questo c’aveva un naso che ci potevi menare le sedie dentro alle narici. Non glielo dico più che in realtà dovevo chiudere.
In tutto questo io, dietro al bancone, come sto? Siete qua per saperlo, no?
Eh, insomma. Insomma. I momenti brutti quelli li avevo passati, per carità. Voi vi ricordate di me che io ero già venuto qua da voi una volta ma non aveva funzionato manco per niente, perché comunque io a beve bevevo, e Dio vabbè. Comunque poi alla fine ero riuscito a venire fuori da quella situazione un po’ di… diciamo così, di merda ecco, se lo posso dire, che mi sembrava di non poter fare assolutamente nulla per cambiare e grazie a mamma e papà io una cosa di lavoro me la sono trovata a questo hotel che è del cognato di mio zio, così per ‘sto paio d’anni sono stato là, a lavorare, e quando uno lavora e c’ha una cosa di soldi, chiaro che può pure permettersi di esistere, cioè, di parlare diciamo e anche di fare altro, diciamo sempre, mettiamo con una donna, poi uno può fare quello che vuole, maschi, femmine, ma io, nel mio caso, una donna. Una donna. E qui arriviamo al punto, perché qualche giorno fa ho conosciuto Valentina, ce l’avete presente, Valentina che veniva agli incontri come me, anzi, la prima volta che ci siamo visti mi sa ch’è stato proprio qua.
Valentina alla fine bastava che mi sorrideva e io il cuore mi si squagliava proprio, figurarsi quando ha accettato di vedermi una sera, all’una, e io Sì, ma magari è un poco tardi all’una, prima non si può fare? E quella No prima è impossibile. Direte voi ma che strano un appuntamento all’una di notte. Vabbe’, diciamo che però noi non è che noi siamo proprio due persone dritte, normali, quadrate, ordinate, insomma fate voi.
Comunque. Hotel. Un’ora e stacco per vedere a Valentina. Non ci sono cazzi, trovo il coraggio e me ne vado. Anche perché la situazione pare tranquilla, così io e lo scaricatore di porto Gesù di Rio pigliamo a parlare e dopo tre rosse medie e tre shot, che le tre rosse medie quello se le butta in corpo come se sono shot pure quelli, insomma dopo tutto quell’alcol pure uno grosso come lui inizia a starsene storto e fa a me Ma vuoi vedere che io a te ti alzo con una mano sola?
Poteva farlo.
Inizio a preoccuparmi, perché quello chiede altre rosse. Vorrei non dargliene, ma gliele devo dare: prima di tutto è un cliente e paga e io non mi posso permettere di fare come dico io perché il bar non è il mio, secondo di tutto perché ho paura. Così quello arriva alla quinta rossa media, inizia a sbattere i bicchieri sul tavolo sempre più forte, sempre più forte, e io penso che se lo fa di nuovo sfonda il bicchiere o direttamente il tavolo. Quindi io sono tutto cacato sotto e mi metto là a dire due cazzate sperando di distrarlo, a parlare di quanto è alto quello che gioca a basket, ma a quello sapete che gliene frega della partita. Comunque poi la cosa funziona. Prendo tempo. Arriva il manager, che gli avevo scritto prima per dirgli se poteva venire a darmi una mano. Pensavo di risolverla così e andarmene, che all’una avevo da fare. Quello il manager poi è alto due metri, ti dà un cazzotto ti sbriciola come un Pan di Stelle.
E invece no.
Il manager arriva al bar, dà un’occhiata allo scaricatore di porto Gesù di Rio e sbianca.
Ciao. Poi guarda a me. Vieni un attimo con me sul retro?
E ci andiamo sul retro. Il manager è tipo tutto Porca puttana ma quello chi è ma come gli è venuto di venire all’hotel nostro. E io gli dico che dovevo chiudere, e quello infatti mi dice Ma perché non hai chiuso. Vaglielo spiegare che le cose sono complicate, che non sempre riusciamo a fare quello che vogliamo. In realtà ci provo pure a spiegargliele le cose e alla fine, io e il manager, decidiamo che è meglio che se ne sta pure lui, il manager dico, con noi a vedersi la partita di basket americano. Tempo cinque minuti e lo scaricatore di porto Gesù di Rio si guarda bene bene al manager e gli dice Però, tu sei bello grosso e mi sembri pure forte. Il manager gli risponde con una risatina e poi Sì, ma credo meno forte di te. Peggior risposta di sempre, anche perché voglio dire ma che razza di discussione è? Fatto sta che lo scaricatore di porto Gesù di Rio allora si alza dallo sgabello e inizia a infilarci le mani sotto per sollevarlo. Inutile direte voi visto che lo sgabello è fissato coi bulloni al pavimento. Ma di che. Quello si mette a cavare i bulloni uno a uno con le dita! Io mi metto una paura addosso che diventa proprio una cosa definitiva, cioè, proprio, non posso fare niente, spero solo di morire subito. Il manager pure vi ricordo che era assai grosso, più di due metri, quindi che figura ci faceva a vedere questo scaricatore di porto-wrestler cinquantenne Gesù di Rio che pigliava a sbullonare il pavimento? Quindi gli si avvicina e fa Macheccazzo fai oh? E io penso Ok ecco qua, ora lui dirà tu non mi vuoi vedere arrabbiato e ci tirerà addosso un tavolo e moriremo tutti e due.
Lo scaricatore di porto Gesù di Rio infatti stacca da terra lo sgabello manco fosse il coperchio di una pentola e ce lo tira contro. Non prende al manager, non prende me, ma il televisore al plasma con la partita di basket sì. Il televisore si accappotta e io, vabbe’, a quel punto prendo il telefono e chiamo ai Carabinieri. Facile. Pronto? Per la cronaca io sto esattamente dietro al manager, che è più sicuro che stare dietro al bancone, o quello che ci rimane. Sì buonasera scusate c’è un uomo alto due metri e dieci, è pazzo, ci vuole ammazzare, venite subito grazie.
Lo scaricatore di porto Gesù di Rio inizia a chiamare il manager sòccola, impropriamente secondo me perché non è una donna e perché è un termine che qua ho imparato che è meglio che non lo diciamo più. Poi lui, lo scaricatore di porto Gesù di Rio-wrestler cinquantenne diventa direttamente Hulk. Poggia le sue due manone attorno al bancone e inizia a tirarlo verso di sé con l’intenzione di prenderlo. Io giocavo alle avventure grafiche, quelle coi comandi: puoi usare bancone del bar, puoi toccare bancone del bar, non puoi prendere bancone del bar. Quello invece prende bancone del bar e lo stacca da terra. Il manager a questo punto ve lo dico è totalmente cacato sotto pure lui ma non può farlo vedere. Non sa bene cosa fare, ma lo scaricatore di porto Gesù di Rio diventato Hulk lo sta per colpire col mio bancone. Quello secondo me lo ha capito, a quel punto, che ha fatto una grande cazzata a fare arrabbiare a Hulk, anzi, non a farlo arrabbiare ma proprio a parlarci, e allora cerca di calmarlo. Non c’è niente da fare. E io penso che potevo chiudere il bar, mannaggia a me. Ma alla fine penso pure che non era colpa mia. Eppure mi trovavo in quella situazione. Impotente. Nulla ci posso fare. Hulk posa il bancone, meno male direte voi, e invece no, perché inizia a strappare sgabelli dal parquet uno dietro l’altro, continuando a urlare che ce li vuole tirare addosso, che lui è il più forte di tutti, cosa che tra l’altro nessuno ha mai messo in discussione. E uno e due, al tre lo tira addosso al manager, che lo schiva. Un miracolo.
Poi arriva la polizia, due tizi di cinquant’anni poco più alti di me che appena entrano nell’hotel e guardano a Hulk si fanno pallidi. Uno dei due fa Chiamate i rinforzi. E io vorrei dirgli I rinforzi? Ma che ci state a fare voi, oh, IO NON VOGLIO MORIRE.
Ho paura veramente e do un’occhiata all’orologio. L’una meno dieci. E quando la vedo Valentina con quella tarantella in corso? Devo fare qualcosa per risolvere la situazione…
Ma non faccio niente.
I poliziotti provano a parlare con Hulk. Io lo vedo che pure loro si stanno cacando sotto come a me e al manager, e la situazione resta così fino a che non entra nel bar il proprietario dell’hotel, che vive effettivamente al piano di sopra ed è alto come me. Ragazzi, che scena, il proprietario inizia a fare il pazzo. In vestaglia, ciabatte, occhiali da sole (anche se era notte). Ue’, giovane, lo posi quello sgabello?
E i poliziotti a dirgli al proprietario Per la sua sicurezza sarebbe meglio che stia indietro.
Indietro? Il proprietario dell’hotel, sessant’anni e passa, biondissimo, corre contro Hulk con una rapidità che può avere solo uno che di risse ne ha viste tante e gli azzecca un pugno a martello dietro la nuca, fortissimo, che quello si abbassa e allora gli tira pure una capata sul naso. Con questi occhi l’ho visto, ha fatto un salto per tirargliela. Thor contro Hulk! Ma capiamo che è questione di tempo e quello Hulk al proprietario dell’hotel lo prende per i capelli e lo ammazza ma per davvero. Ci buttiamo nella mischia pure noi. Il manager acchiappa a Hulk per il braccio e io gli sto dietro, un po’ lo spingo e un po’ cerco di trattenere Hulk insieme ai poliziotti, e penso che se esco vivo da questa storia lo giuro migliorerò la mia vita, non farò più gli errori e le stronzate di sempre. I poliziotti vedono i polsi liberi e cercano di ammanettare lo scaricatore di porto, ma quello allunga un braccio, tira una gomitata spaccando la fronte del manager e corre in mezzo ai cocci distrutti di boccali e bottiglie. Dove? Contro la porta di vetro d’emergenza, quella chiusa! E mica tirando la maniglia, ma che, quello ci si butta contro di testa! Vetri da tutte le parti e quello là che si rialza da terra, tipo Terminator con le schegge incastrate in faccia e sulle braccia e sulla panza, e se ne va. Ma per fortuna poi gli sbirri l’hanno catturato.
Si sono fatte le una e quaranta, mi lavo la faccia, mi cambio e vado all’appuntamento, ma chiaramente Valentina non ci sta più. La chiamo, niente, le scrivo, peggio che niente, e quindi da che non bevevo una minchia da quattro anni e mezzo mi dico Che vuoi che sia. Poi da cosa nasce cosa e ti risvegli nei sedili di dietro di una macchina che non hai mai visto in vita tua, puzzi di piscio e hai la giacchetta bella dell’appuntamento misteriosamente bagnata.
E insomma questa è la mia storia, perché da quel momento a che sono tornato a voi è un attimo. Se solo avessi chiuso il bar. Se avessi avuto più coraggio. Se poi, quando le cose sono andate male e sono arrivato tardi e Valentina non ci stava, se avessi pensato di fare diversamente, come poi non ho fatto. Va be’. E così via, potrei andare più indietro nel tempo anche. Alla fine è tutta roba di cui abbiamo già parlato qua. La dottoressa m’ha metto Stai a fa’ il sintomo, e gli vorrei dire sì, ma non sarebbe corretto. Direte voi Bentornato. Non lo so. Manco lo so se li fate a tutti gli applausi, compresi a quelli che qua dentro insieme a voi ci tornano, che in teoria se uno è uno di voi lo è per sempre no? E io infatti ci sono tornato, eccomi qua, di nuovo fra voi. Comunque se gli applausi me li fate io sono contento.
Ruben Marciano
Si è diplomato in Sceneggiatura alla Scuola d’Arte Cinematografica “Gian Maria Volonté” e si è specializzato in scrittura televisiva al Master di Scrittura seriale RAI Fiction. Ha lavorato nei reparti editoriali di Fandango e Rodeo Drive. Come sceneggiatore ha vinto nel 2020 la XII edizione del Premio Sonego e scritto il film La fortuna è in un altro biscotto (2023, prodotto da Ahora Film).
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