Mara consiglia di leggere ascoltando: Gaspare Di Lieto Quintet, A Walk to the Peak.
L’unica possibilità
Di Mara Abbafati
Questo racconto è dedicato a Valerio
per la fantascienza, la musica e tutto quanto
Walter Proski aveva un problema. Da qualche tempo gli era venuto il sospetto che l’Universo non fosse stato propriamente creato, ma fosse accaduto per sbaglio, come un file corrotto rimasto aperto troppo a lungo. Lo dimostrava il fatto che nessuno aveva mai capito bene quale fosse il regolamento, chi lo avesse scritto e, soprattutto, perché fosse pieno di bug evidenti come il lunedì mattina, le riunioni di condominio e il Pianeta Terra.«A prima vista sembra un posto progettato piuttosto bene: acqua in abbondanza, una buona dose di ossigeno, un sole a una distanza accettabile. Ma ci sono troppe cose che non funzionano, Nietzsche, soprattutto gli esseri umani» disse Walter parlando con il suo gatto.
Secondo lui la realtà era solo un errore di calcolo, per questo la viveva a modo suo, con totale indifferenza. Ci aveva pure pensato a fare qualcosa, a parlarne con qualcuno, ma poi aveva deciso di lasciar stare, nessuno gli avrebbe creduto. Da quel momento Walter Proski non dava più importanza a niente e con un certo sollievo attendeva la fine, sperando che arrivasse al più presto.
Walter lavorava, senza nessuna voglia, al catasto di un piccolo paese. Si dimenticava di pagare le bollette, non falciava il prato ed evitava le feste religiose, i compleanni e le rimpatriate con gli ex compagni di classe, che erano la cosa più inutile e vicina all’inferno che riuscisse a immaginare.
La sera, dopo una giornata passata a timbrare documenti che lui chiamava i “senza senso”, Walter si rifugiava nel Bar dei Dubbi, il posto dove diceva di andare a riflettere sull’assurdità dell’esistenza – in realtà beveva gin tonic fino a perdere i sensi, che poi forse è la stessa cosa.
Nel bar si entrava da una porticina grigia, quasi invisibile, tra una lavanderia a gettoni e un negozio di ferramenta chiuso da anni. La birra era pessima, il jukebox suonava sempre canzoni che nessuno ricordava di aver scelto, e il proprietario, un tale di nome Al, aveva sempre il resto giusto, indipendentemente dalla banconota che gli davi. No, lì con le carte non ti faceva pagare e nessuno gli diceva niente, era come se all’interno di quel luogo vigessero leggi diverse, le leggi del Bar dei Dubbi, e a tutti andava bene così.
Passata la minuscola porta, il bar all’interno era in realtà molto ampio, tanto che Walter spesso si era chiesto come facesse a essere così largo se ai lati c’erano altre due attività. Ma dopo le prime volte si era dimenticato di questa incongruenza, il bar aveva una sua logica interna, o forse una sua assenza di logica. Il bancone sembrava vecchio, eppure era senza un graffio. Il neon dell’insegna all’esterno lampeggiava in modo irregolare, come se stesse decidendo in tempo reale se esistere o meno. La televisione sulla staffa in alto all’angolo del bancone trasmetteva dei programmi che nessuno a casa aveva mai visto. Probabilmente Al accedeva a qualche piattaforma estera, magari anche senza pagare. Walter ci andava sempre verso le nove di sera e quell’ora c’era uno show assurdo in cui il conduttore, un uomo con una pettinatura geometrica inquietante, sedeva di fronte a un tonno chiuso in una vasca d’acqua e gli faceva domande sul futuro in attesa che il pesce facesse delle previsioni. Il tonno si chiamava Franco, il conduttore non si sa.
Anche quella sera il conduttore stava interrogando il tonno.
«Allora, Franco, gli alieni arriveranno sulla terra?».
Silenzio. Il tonno rimase immobile, gli occhi vitrei fissi nel vuoto.
«Questo silenzio… è una conferma?».
Walter distolse lo sguardo e si concentrò sul suo gin tonic.
Al stava asciugando un bicchiere con un panno che sembrava sempre leggermente umido, ma mai sporco. I suoi occhi grigi riflettevano la luce dei faretti al neon con un’intensità innaturale.
«Giornata difficile?» chiese, senza smettere di strofinare il tumbler.
Walter sollevò il suo bicchiere, osservando il liquido oscillare pigramente.
«Ci sono giornate facili?».
Al fece un cenno, come se avesse già sentito quella frase un migliaio di volte.
«È il mercoledì» continuò Walter «C’è qualcosa di profondamente sbagliato nel mercoledì. Non ha la disperazione del lunedì, né il sollievo del venerdì. È un giorno che esiste solo per fare numero nella settimana».
Il telefono vibrò sul bancone. Lo schermo illuminò per un istante il riflesso stanco di Walter nel vetro della bottiglia di gin. “Errore 042: Universo non trovato. Riavviare o arrestare il sistema”.
Al si fermò un istante, inclinò la testa «Hai mai pensato che l’Universo possa essere più fragile di quanto sembri?».
Walter lo guardò.
«Quindi, sai qualcosa?».
«A proposito di che?» chiese con un tono così convinto che Walter cambiò idea.
«Niente, niente» rispose.
Walter preferiva non complicarsi troppo la vita, pensò che il messaggio fosse solo uno scherzo, una truffa di quelle che ti risucchiano il credito nel telefono. Lo cancellò.
La mattina dopo mentre andava al lavoro attraversando il parco a piedi come al solito, un uomo seduto su una panchina alzò la mano mentre Walter gli passava davanti cercando di attirare la sua attenzione. Lui voleva proseguire, non lo conosceva nemmeno, ma gli sembrava innocuo. Si avvicinò. «Lei sa per caso che ore sono? È l’ora della fine» disse senza nemmeno attendere una risposta.
Walter non sapeva se dovesse rispondere o no, provò a dire «Sono le otto e…»
«Lei sa per caso che ore sono? È l’ora della fine» ripeté quello.
Walter sgranò gli occhi e allungò le labbra in un sorriso di circostanza, per assecondarlo «Ok, arrivederci» disse riprendendo a camminare.
«Lei sa per caso che ore sono? È l’ora della fine» continuò il tizio sempre con la stessa intonazione e senza minimamente alzare la voce, ma Walter lo sentì bene comunque.
Prima di entrare in ufficio si fermò pochi secondi davanti all’edicola per prendere il giornale, un’abitudine che non aveva mai perso nonostante lo smartphone. Mentre entrava nel portone dell’edificio del catasto stese il quotidiano tenendolo tra le due mani, lo guardò, c’era la stessa prima pagina del giorno precedente. Lesse in alto e c’era anche la data del giorno prima. Prese il telefono per controllare, appena lo schermo si accese vide di nuovo il messaggio “Errore 042: Universo non trovato. Riavviare o arrestare il sistema”.
Doveva essere una specie di déjà-vu, forse si confondeva con le date, forse la foto sul giornale l’aveva vista su internet mentre era sovrappensiero, era sicuramente così, cancellò il messaggio.
Durante la giornata aveva rimosso quelle strane sensazioni provate al mattino, aveva timbrato centinaia di “senza senso” e finalmente la sera poteva andare a rilassarsi al bar.
Appena appoggiò il culo secco sullo sgabello al bancone, Al gli posò davanti il suo gin tonic che sembrava esserglisi materializzato nelle mani, così dal nulla.
Si udì il tintinnio della porta d’ingresso seguito da un click metallico.
«Tutti fermi, mani in alto! Questa è una rapina!» disse un tizio basso e tarchiato con un passamontagna nero.
Walter, che aveva un rapporto complicato con l’autorità e con tutti quelli che gli dicevano cosa doveva fare, disse «Dobbiamo stare fermi o dobbiamo alzare le mani?».
«Tutte e due le cose».
Walter sorseggiò il gin e osservò il rapinatore con espressione vagamente interessata. L’uomo stringeva la pistola, ma le mani gli tremavano.
«Allora avresti dovuto dire prima “mani in alto” e poi “state fermi”» disse Walter.
«Vuoi stare zitto, sto facendo una rapina» disse quello.
«Sei sicuro?» chiese Walter.
Al era esterrefatto, non aveva mai visto Walter così reattivo.
Il rapinatore esitò.
«Di cosa?».
«Che questa sia una rapina. Che sia la cosa giusta da fare».
La pistola si abbassò impercettibilmente.
«Io…».
C’era talmente tanto silenzio che si sentì ben chiaro il rumore del ghiaccio che sciogliendosi si spostava nel drink di Walter.
Il rapinatore svenne, crollando a terra. Al uscì da dietro il bancone con un bicchiere d’acqua, si bagnò le dita e le spruzzò sul viso del rapinatore bagnando il passamontagna, quello non se ne accorse nemmeno. Lo lasciarono lì, ma Al per sicurezza gli prese la pistola e si accorse che era finta.
Il telefono vibrò di nuovo spostandosi sul bancone. “Errore 042: Universo non trovato. Riavviare o arrestare il sistema”.
Walter non sapeva che fare, lo mostrò ad Al «È la terza volta che ricevo questo messaggio».
Il barista sospirò. «D’accordo. È ora che tu sappia».
Walter sentì un brivido lungo la schiena. Al si avvicinò. Quando parlò non lo fece con la voce, ma con qualcosa che risuonò direttamente dentro la testa di Walter.
«L’Universo si è creato per un errore di calcolo e ora sta collassando. Tu sei l’unico che può decidere se riavviarlo o lasciarlo morire».
Il telefono nella sua mano pesava come se fosse stata una cabina telefonica vera e propria.
«Perché io?».
«Perché sei l’unico che l’ha capito, che ha notato le incongruenze. Noi ce ne siamo accorti e abbiamo deciso di usare il tuo telefono per inviare il messaggio di riavvio».
«Ma “noi” chi?».
Al fece un cenno verso il soffitto «Noi».
«Ah… quindi Al sta per alieno!».
«No, per Alfonso, nome di nonno».
Walter osservò lo schermo. Riavviare significava cancellare tutto e ricominciare daccapo. Ma non c’era la certezza che le cose sarebbero migliorate.
«E se non faccio nulla?».
«Per un po’ tutto resterà così, poi le incongruenze aumenteranno e diventerà sempre più assurdo» disse Al.
«Quindi questa è l’unica possibilità».
«Sì».
Il cuore gli batteva forte. Per la prima volta nella vita qualcosa dipendeva da lui. L’universo intero. Prese un respiro profondo e poi fece un ghigno.
«Se clicco “arrestare il sistema”?».
«L’universo esploderà, finirà tutto nel giro di poche ore».
«Posso far finire tutto questo?».
Al lo fissò, con quello sguardo che non era mai veramente umano e annuì.
Walter rilesse con calma la scritta sullo schermo “Errore 042: Universo non trovato. Riavviare o arrestare il sistema”, si stava gustando il suo potere, poi prese fiato e velocemente cliccò.
«Mi dispiace solo per Nietzsche» disse Walter pensando al suo gatto. «Torno a casa ad aspettare la fine con lui».
La TV gracchiò «Franco, il mondo sta per finire?».
Sullo schermo comparve l’effetto neve.
Mara Abbafati
Si occupa di editing e traduzioni. Alcuni suoi racconti sono apparsi su antologie e riviste, tra cui: Carie, Rivista Blam, Il mondo o niente, Bomarscé, Narrandom, Clean, Micorrize e Quaerere. Questo è il suo primo incontro ravvicinato con la fantascienza.
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